Pandemia e cittadinanza critica

* Questo saggio è stato concepito e scritto nel periodo del lockdown nel nostro Paese, fra l’aprile e il maggio del 2020. Successivamente è stato lievemente ritoccato. Alcune sue parti sono sensibili alle sollecitazioni del momento e tentano di rispondervi in qualche modo; altre sono di più lungo respiro – almeno per me – e probabilmente saranno riprese nei lavori che ho in programma per il prossimo futuro.

[1] Sul rischio di epidemie zoonotiche, a cui (pare) saremo sempre più esposti per effetto degli squilibri ecologici planetari provocati dalla mano dell’uomo, cfr. il volume divulgativo di D. Quammen, Spillover. L’evoluzione delle pandemie (2012), tr. it. di L. Civalleri, Milano, Adelphi, 2014. «Nessuno degli esperti – scriveva “profeticamente” Quammen otto anni fa – contesta il fatto che il prossimo Big One, se accadrà, sarà una zoonosi» (ivi, p. 529). Su alcuni stili di vita sbagliati (soprattutto alimentari), che possono provocare pandemie, cfr. – in questoOsservatorio – M. Sanna , Domani. Quale passato per il nostro futuro?.

[2] Lavarsi spesso le mani: sembra un fatto intuitivamente scontato per noi. Ma non è sempre stato così, se solo pensiamo che all’Ospedale generale di Vienna (ma il fenomeno era diffuso in tutta Europa), nei padiglioni di Ostetricia, intorno alla metà dell’Ottocento molte giovani partorienti venivano infettate e morivano semplicemente perché i medici, dopo aver sezionato i cadaveri a scopo didattico, le visitavano senza lavarsi le mani. Un giovane e brillante clinico ungherese, Ignác Fülöp Semmelweis (1818-1865), individuò il problema e suggerì l’igienizzazione delle mani con il cloruro di calce nel passaggio da una prestazione professionale all’altra – argomentando alcuni anni dopo la sua tesi in un ponderoso volume –, ma fu ferocemente dileggiato e ostracizzato dalla comunità scientifica del tempo, malgrado avesse ottenuto risultati considerevoli (ossia salvato vite umane) verificando sperimentalmente la sua ipotesi. Ancora per diversi anni i suoi colleghi continuarono a uccidere puerpere, ostinandosi a non volersi lavare le mani. La vicenda storica è splendidamente narrata nella tesi di laurea in medicina di Louis-Ferdinand Céline ( Il dottor Semmelweis – 1924 –, tr. it. di O. Fatica e E. Czerkl, Milano, Adelphi, 1975).

[3] Thomas Piketty sostiene che «senza un intervento, il covid-19 avrebbe potuto provocare la morte di circa quaranta milioni di persone nel mondo […]. Pressappoco un anno di mortalità supplementare» ( Un nuovo stato sociale per uscire dalla crisi, in “Le Monde”, 26 aprile 2020, in rete).

[4] «Scongiurare le sofferenze causate dal virus – scrive il politologo statunitense George Friedman – richiede isolamento e collasso economico» (Non possiamo smettere di amarci e di ucciderci , in “Limes”, 3, marzo 2020, pp. 123-130, qui p. 127).

[5] Va ricordato che, in generale, l’art. 41, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) stabilisce «l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni».

[6] M. Foucault, Perché studiare il potere: la questione del soggetto (1983), in Id., Poteri e strategie. L’assoggettamento dei corpi e l’elemento sfuggente , a cura di P. Dalla Vigna, Milano, Mimesis, 1994, pp. 103-114, qui p. 112. Sulla stretta connessione fra governamentalità e potere pastorale si veda nello stesso volume La “governamentalità”, pp. 43-67, in part. pp. 65-67.

[7] Cfr. X. De Maistre, Viaggio intorno alla mia camera (1795), a cura di N. Muschitiello, Milano, Rizzoli, 1991, p. 44.

[8] Cfr. ivi, p. 41.

[9] Ivi, p. 141.

[10] Cfr. ivi, p. 48.

[11] Ivi, p. 57.

[12] Cfr. ivi, p. 41.

[13] «Stiamo sperimentando una socialità sostitutiva: l’uso di Internet è più che raddoppiato; i social media sono diventati i nuovi salotti; […] il consumo di Netflix e Amazon Prime Video è letteralmente esploso; gli studenti di tutto il mondo ora frequentano corsi virtuali attraverso “Zoom”. Insomma, questa malattia […] è anche la festa delle tecnologie virtuali. Sono convinta che, nel mondo post-Coronavirus, la vita virtuale a distanza avrà conquistato una nuova autonomia – ora che siamo stati costretti a scoprirne le potenzialità». Queste parole della sociologa francese Eva Illouz ( Storie virali. L’insostenibile leggerezza del capitalismo per la nostra salute , Atlante Treccani, il portale del sapere, in rete, pp. 1-26, qui p. 20) contengono constatazioni evidenti e una condivisibile esortazione a monitorare i nostri costumi digitali nel periodo successivo all’emergenza pandemica. Possiamo solo attendere e rimanere vigili. Nel frattempo apprendiamo dai giornali che Twitter – inaugurando scelte che potrebbero rivelarsi epocali (non sappiamo ancora se nel bene o nel male) – ha deciso di consentire ai propri dipendenti di rimanere in smart working finché lo vorranno (cfr. R. Luna, Rivoluzione Twitter: lavorare da casa sarà una libera scelta , in «la Repubblica», XLV, 114, 14 maggio 2020, p. 23).

[14] G. Pasquino, I politici che bluffano oggi preparano tempi peggiori, in rete sul sito dell’Accademia dei Lincei.

[15] Cfr. M. Ferraris, Mobilitazione totale, Roma-Bari, Laterza, 2015.

[16] Cfr. J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1962), tr. it. di A. Illuminati, F. Masini e W. Perretta, riv. da M. Carpitella, Roma-Bari, Laterza, 20067, in part. pp. 52 sgg.

[17] La strutturale apertura mediatica del nostro isolamento pandemico – rispetto a quello pre-tecnologico di de Maistre – è attesta paradigmaticamente dal racconto quotidiano della quarantena riportato nel volume (un po’ pletorico, in verità) di Fang Fang, Wuhan. Diari da una città chiusa (2020), tr. it. di C. Chiappa, Milano, Rizzoli, 2020.

[18] R. Mazzola, Note su Internet e democrazia, in S. Caianiello (a cura di), Rete e democrazia, in “Ispf-Lab Laboratorio dell’Ispf”, XVI, 2019, www.ispf-lab.cnr.it, pp. 97-109, qui p. 107 (poi in R. Mazzola, Pratiche digitali & cultura umanistica, Napoli, Diogene, 2020, pp. 61-78, qui p. 75). Perplessità analoghe a quelle di Mazzola esprime Wolfgang Sofsky, che scrive: «Le persone lasciano più tracce di quanto immaginano. Oggi l’incessante sorveglianza non viene praticamente avvertita dalla maggior parte delle persone. […] Da un pezzo [la gente] si è abituata alle telecamere, alle tessere degli sconti e ai messaggi pubblicitari. […] Le telecamere promettono sicurezza, i servizi informatici offrono comodità. A parte qualche sporadica seccatura, il cittadino trasparente apprezza le facilitazioni dell’era digitale. Senza esitazioni rinuncia a essere inosservato, anonimo, inaccessibile. Non avverte la perdita di libertà personale. Se a intervalli regolari non venissero cancellati certi dati e fatte sparire certe tracce, gli esseri umani sarebbero reclusi nel carcere della loro storia. Queste prospettive però non sembrano spaventare nessuno» (Id., In difesa del privato – 2007 –, tr. it. di E. Picco, Torino, Einaudi, 2010, pp. 10-11).

[19] R. Mazzola, Note su Internet e democrazia, in S. Caianiello (a cura di), Rete e democrazia, cit., p. 104 (in R. Mazzola, Pratiche digitali & cultura umanistica , cit., p. 74).

[20] Ivi, p. 102 (ivi, p. 67).

[21] Sul peso che la consapevolezza dei singoli individui può avere nell’elaborare procedure di autodifesa dal controllo esercitato nel web insistono anche Guido Caldarelli ( Le reti nel mondo odierno: impatto su informazione e democrazia di questa nuova forma di aggregazione , in S. Caianiello – a cura di –, Rete e democrazia, cit., pp. 48-55, in part. p. 55) e Luciano Fasano ( La rappresentanza politica e degli interessi fra dis-intermediazione e re-intermediazione: un primo bilancio , ivi, pp. 70-83, in part. p. 82). Non condivido affatto le affermazioni di Yuval Nohah Harari – troppo ottimistiche, in verità – circa l’equipotenza nel controllo reciproco fra governati e governanti. «La stessa tecnologia di sorveglianza – scrive lo storico israeliano – può di solito essere utilizzata non solo dai governi per monitorare gli individui, ma anche dagli individui per monitorare i governi» (The World after Coronavirus, in “Financial Times”, 20 marzo 2020, in rete, p. 6).

[22] Questo induce a pensare che nelle maglie (piuttosto larghe, direi) di quella concentrazione oligarchica del potere in rete nelle mani dei tre colossi – Google, Facebook e Amazon (cfr. su questo punto R. De Rosa, Digital persona, big data e sfera pubblica. Quali sfide per la democrazia che verrà , in S. Caianiello – a cura di –, Rete e democrazia, cit., pp. 56-69, in part. pp. 68-69) – spazi di democrazia su Internet (frutto di compromesso) siano tuttavia ancora disponibili. Penso – per fare solo un esempio fra i tanti – alla possibilità (un tempo inimmaginabile) di reperire musica su YouTube (di proprietà di Google) e di caricarvi contenuti anche di denuncia. Nei giorni della quarantena – sempre su YouTube – si potevano reperire video, girati a Napoli con i cellulari da privati cittadini, che documentavano l’impossibilità in alcuni casi di mantenere il distanziamento anticontagio sui mezzi pubblici, e ciò per le annose carenze strutturali di cui soffre la mobilità in questa città. Si tratta di un caso riconducibile a quel fenomeno noto comecitizen journalim, su cui cfr. M. Del Santo, Evoluzione tecnologia del “medium fotografico” e società, in “Fronesis”, X, 19, gennaio-giugno 2014, pp. 57-69, in part. pp. 66-67. Inoltre va ricordato che in Cina il divieto di divulgare senza autorizzazione i dati sull’epidemia – imposto il 30 dicembre 2019 dalle autorità – è stato aggirato attraverso le chat fornite dai servizi di messaggistica (cfr. Aa.Vv., I segreti di Wuhan e i 65 giorni che hanno cambiato la storia del mondo , 14 maggio 2020, sul sito del quotidiano “la Repubblica”). Attuare, personalizzandole in senso (micro)democratico, le potenzialità insite nella rete (certo contribuendo in tal modo anche a sostenerne le perversioni) non elimina la questione delle satrapie informatiche, ma consente di implementare nel presente stato di cose possibili strategie localizzate per l’“appropriazione” delle opportunità consentite. In tal senso un esempio significativo – di stampo un po’ più battagliero – è la “Biblioteca Napoletana Digitale” (Bina, http://www.bibliotecanapoletana.it), concepita da Roberto Mazzola per sottrarre a Google il monopolio nella gestione in open access della produzione libraria realizzata a Napoli nei secoli XVII e XVIII (cfr. R. Mazzola, Biblioteca Napoletana Digitale (secc. XVII- XVIII), in Id., Pratiche digitali & cultura umanistica, cit., pp. 91-99).

[23] S. Caianiello, Rete, democrazia e complessità, in Id. (a cura di), Rete e democrazia, cit., pp. 7-47, qui p. 18.

[24] Su questo punto e sulle regole stabilite dalla Commissione UE per la progettazione di un’App sanitaria cfr. in rete C. Frediani, Contact Tracing: scontri e domande, in “Guerre di Rete – una newsletter di notizie cyber”, 67, 19 aprile 2020.

[25] Molto pertinente e incisiva è l’osservazione di Evgeny Morozov, che, a proposito della prevenzione tecnologica del contagio, nota come la centralità nel dibattito pubblico italiano delle questioni connesse al «compromesso tra privacy e salute pubblica» dipenda dal fatto che «le infrastrutture digitali di cui disponiamo sono costruite da aziende tecnologiche per favorire i loro affari», vale a dire «per identificarci e fare di noi micro-bersagli d’interesse commerciale» ( L’emergenza sanitaria e il rischio del totalitarismo, in “Internazionale”, 1352, 3 aprile 2020, pp. 39-40, qui p. 40). I rischi, però, si corrono anche in paesi con diverse forme di governo e costumi socio-culturali meno sensibili alla protezione della riservatezza individuale: lì magari per le «infrastrutture digitali» disponibili i «microbersagli» potrebbero essere non tanto «d’interesse commerciale», ma piuttosto politico e con finalità di controllo e disciplinamento ideologici (sulla gestione analogico-digitale dell’epidemia in Cina e Corea del Sud – interessante contraltare – cfr. i contributi piuttosto equilibrati di D. Shen, Così la Cina sta vincendo la partita del coronavirus, in “Limes”, 3, cit., pp. 59-68; F. Santelli, Grande fratello con termometro, ivi, pp. 91-97; A. De Benedittis, Disciplina e tecnologia, il virus sotto il 38° parallelo, ivi, pp. 239-245). Nel corso del suo articolo Morozov – polemizzando a distanza con Harari – si scaglia con veemenza contro la funzione affrancatrice del sapere. Devo confessare che non ho nulla contro l’idea di un’emancipazione (per quanto possibile) autonoma attraverso la conoscenza, a patto che quest’ultima non sia intesa come un’elargizione proveniente dall’alto (il che potrebbe configurarsi come una forma di manipolazione delle coscienze), ma come il risultato di un’acquisizione critica che consenta ai singoli cittadini di potersi difendere dai pericoli della rete (e non solo da questi). In attesa di mutamenti strutturali nel nostro mondo (e forse anche come condizione per avviarli), credo valga la pena di lavorare affinché si determini in tutti noi un incremento di cittadinanza critica.

[26] Al termine guerra (al virus) – fortemente evocativo e forse capace di compattare il fronte contro il nemico comune, ma denso di sfumature negative (cfr. in proposito L. di Pace – R. Pannain, “In prima linea”Una breve riflessione sulla metafora bellica nella comunicazione sulla pandemia da coronavirus , in questo Osservatorio) –, preferisco lotta, nel cui spettro semantico più ampio è contenuta anche l’idea più realistica di un conflitto che muterà nel tempo e non terminerà improvvisamente, come invece avviene solitamente nelle guerre, con la sancita cessazione delle ostilità. Contro «troppo facili speranze – scrive Slavoj Žižek, e non gli si può dare torto –, la prima cosa da accettare è che la minaccia [pandemica] è qui per rimanere a lungo» ( Coronavirus es un golpe al capitalismo al estilo de “Kill Bill” y podría conducir a la reinvención del comunismo , in Aa. Vv., Sopa de Wuhan. Pensamiento contemporaneo en tiempos de pandemias , Online, ASPO, 2020, pp. 21-28, qui p. 25). Bisogna, inoltre, fare i conti (come i virologi ci ricordano) con il fatto che i risultati dei comportamenti anticontagio si vedono e si possono verificare solo in un futuro prossimo.

[27] “BergamoNews”, quotidiano online, tr. it. di F. Sabatini (la versione italiana è stata da me lievissimamente ritoccata; i corsivi sono miei).

[28] Cfr. P. Colaprico, Le cinquanta giornate di Milano, in “Limes”, 3, cit., pp. 203-211.

[29] Cfr. SIAARTI, Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili , pubblicato in rete il 6 marzo 2020, pp. 3 e 5. Il documento – è doveroso qui chiarirlo – precisa «che l’applicazione di criteri di razionamento è giustificabile soltanto dopo che da parte di tutti i soggetti coinvolti» siano «stati compiuti tutti gli sforzi possibili per aumentare la disponibilità di risorse erogabili (nella fattispecie, letti di Terapia Intensiva) e dopo che» sia «stata valutata ogni possibilità di trasferimento dei pazienti verso centri con maggiore disponibilità di risorse» (ivi, p. 3).

[30] Ibidem .

[31] Ibidem .

[32] Ivi, p. 5. Su questo aspetto tragico dell’emergenza pandemica è intervenuto anche Salvatore Settis (cfr.Città senza confini?, in M. Cannata – a cura di –, La città per l’uomo ai tempi del Covid-19, Milano, La nave di Teseo, 2020, pp. 171-205, in part. pp. 200 sgg.).

[33] Cfr. P. Berizzi, Pressing degli industriali sul governo per non chiudere la Val Seriana , ne «la Repubblica», XLV (12 giugno 2020), 138, p. 4; Id., L’inchiesta di Bergamo punta su imprenditori e vertici regionali , ivi, XLV (14 giugno 2020), 140, p. 13.

[34] Cfr. E. Dusi, Cronaca di un disastro annunciato, in “Limes”, 4, aprile 2020, pp. 341-348, in part. p. 343.

[35] B. Brecht, Vita di Galileo (1955-56), a cura di G. Oneto, tr. it. di E. Castellani, Torino, Einaudi, 1994, pp. 215 e 217.

[36] J.T. Godbout – A. Caillé, Lo spirito del dono (1992), tr. it. di A. Salsano, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, p. 20.

[37] Cfr. R. Diana, Il dono in concerto. Una riflessione sul “plusvalore donativo” nel lavoro di un solista , in L.M. Sicca (a cura di), I linguaggi dell’organizzare. Musica e testo tra dono e disinteresse , Napoli, Editoriale Scientifica, 2013, pp. 49-64.

[38] Vorrei aggiungere che anche un controdono in denaro resta ancora paradossalmente un dono, perché l’ammontare della somma non è computato in riferimento a una tabella salariale, ma è stabilito da una valutazione personale del controdonatore in base al valore che ha riconosciuto al dono ricevuto.

[39] Qui l’ingegno è inteso in senso squisitamente vichiano, come quella «facoltà di unificare cose separate, di congiungere cose diverse» (G. Vico, De antiquissima italorum sapientia – 1710 –, tr. it. e cura di M. Sanna, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005, cap. VII, § 3, p. 119), la cui connessione richiede talento, immaginazione, intelligenza, perché non si mostra semplicemente al primo sguardo.

[40] In I. Kant, Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto , tr. it. di G. Solari e G. Vidari, a cura di N. Bobbio, L. Firpo e V. Matthieu, Torino, Utet, 19953, pp. 213-230, qui pp. 224-225 (corsivi miei misti a quelli dell’autore).

[41] Basti pensare alla transizione – segnalata da Harari e implementata dalla pandemia – nei sistemi di sorveglianza, che passano, con la rapida misurazione della temperatura corporea, da un controllo «over the skin» a uno «under the skin». Oltre alla febbre – nota lo storico israeliano –, con un braccialetto biometrico si potrebbero rilevare anche sentimenti ed emozioni e dunque (ad es.) le reazioni interiori (che per prudenza potremmo nascondere) mentre si ascolta il discorso di un leader politico. Un tale scenario distopico può essere già spaventoso, se immaginato in una società democratica che incentivasse l’adozione facoltativa di un tale dispositivo; ma può esserlo ancora di più, se proiettato in un regime autocratico o totalitario che obbligasse i suoi cittadini a indossare quel braccialetto (cfr. The World after Coronavirus, cit., p. 3).

[42] Sulla necessità di destinare risorse pubbliche consistenti alla scuola, intesa come «vaccino per l’infodemia» (ossia la diffusione per contagio di informazioni scorrette o false), cfr. N. Grandi – A. Piovan, Coronavirus: un contagio (anche) informativo, in “MicroMega”, 3, 2020, pp. 39-48, in part. p. 48.

[43] E.W. Said, Il ritorno alla filologia (2000), in Id., Umanesimo e critica democratica (2004), a cura di G. Baratta, tr. it. di M. Fiorini, Milano, il Saggiatore, 2007, pp. 83-108, qui p. 85.

[44] A. Badiou, Sulla situazione epidemica, tr. it. di P. Quintili, ora in questo Osservatorio, p. 4. Sulle posizioni di Badiou (di cui andrebbe visto anche L’ipotesi comunista – 2009 –, tr. it. di L. Boni, A. Cavazzini e A. Moscati, Napoli, Cronopio, 2011) cfr. poi anche, sempre in questo Osservatorio, P. Quintili, La novità «antidiluviana» di una pandemia mondiale. Dialogo sul Covid-19 .

[45] Su questo tema si veda lo splendido affresco epico di John Milton nel Paradiso perduto (1667-74). Un breve schizzo, “inequivocabilmente” equanime, del rapporto opaco fra governo e cittadini in situazioni eccezionali nella vecchia Jugoslavia comunista, come nella Cina attuale, offre Slavoj Žižek ( Un nuovo comunismo può salvarci, in “Internazionale”, 21 marzo 2020, in rete).

[46] S. Petrucciani, Democrazia, Torino, Einaudi, 2014, p. 224. Un sintetico ma efficace intervento sulla necessità di ripensare l’architettura cittadina in direzione di un’apertura alla socialità è quello di C. Landi, Come ripensare luoghi a misura di essere umano, in “Left”, 19, maggio 2020, pp. 28-29. Una maggiore attenzione meriterebbero le periferie, che spesso conoscono solo i centri commerciali come (non-) luoghi di «socialità artificiosa» (cfr. F. Purini,Alcune questioni urbane, in M. Cannata – a cura di –, La città per l’uomo ai tempi del Covid-19, cit., pp. 144-161, in part. pp. 154 sgg.).

[47] Cfr. A. Camus, L’uomo in rivolta (1951), tr. it. di L. Magrini, Milano, Bompiani, 1994, p. 17.

[48] M. Foucault, Corso del 14 gennaio 1976, in Id., Microfisica del potere. Interventi politici, a cura di A. Fontana e P. Pasquino, Torino, Einaudi, 1977, pp. 179-181, qui p. 180.

[49] Sulla necessità che, proprio per conservare credibilità e affidabilità sul piano sociale (soprattutto in situazioni emergenziali come quella attuale), la conoscenza scientifica in generale venga acquisita pubblicamente come un sapere non dogmatico, ma frutto di una ricerca in divenire e quindi – per quanto sottoposta a un rigoroso controllo metodologico – in linea di principio sempre provvisoria nei suoi risultati, prospettica, suscettibile di integrazioni e correzioni, cfr. in via preliminare S. Caianiello, Educare all’incertezza: filosofia della scienza e comunicazione , in “Scienza&Società”, 1-2, 2007, pp. 93-110, ora in questo Osservatorio. La stessa questione, sul versante umanistico, è affrontata in E. Lonardi, La sfida del Covid-19 alle scienze umane, in rete. Sul rapporto squilibrato, al tempo della pandemia, fra provvisorietà del sapere scientifico e bisogno espresso dall’opinione pubblica di ricevere certezze dagli esperti cfr. D. Di Cesare, Virus sovrano? L’asfissia capitalistica, Torino, Bollati Boringhieri, 2020, pp. 41 sgg. Per un’analisi (gravata forse da un eccessivo entusiasmo positivista) dell’importanza di un’alfabetizzazione scientifica diffusa per il buon funzionamento della democrazia cfr. M. Dorato, Disinformazione scientifica e democrazia. La competenza dell’esperto e l’autonomia del cittadino , Milano, Raffaello Cortina, 2019.

[50] Sulle intemperanze della critica valgono ancora oggi le raccomandazioni giudiziose di uno dei più severi critici della cultura occidentale: Friedrich Nietzsche (cfr. Sull’utilità e il danno della storia per la vita – 1874 –, tr. it. di S. Giametta, Milano, Adelphi, 19814, p. 24).

[51] Su questo punto c) e sul precedente vorrei cadesse un accento molto forte in tempi di didattica a distanza forzosa, che può essere giustificata solo dalla contingenza pandemica, ma non può e non deve assolutamente aspirare a sostituire il rapporto vivo fra studente e docente.

[52] E. Illouz, Storie virali. L’insostenibile leggerezza del capitalismo per la nostra salute , cit., p. 8.

⸻ ALLEGATI