Il male francese nel Quattrocento

Un articolo di G. Falcucci sul mal francese a Napoli nel Quattrocento

La città cinese di Wuhan è stata indicata come l’epicentro del primo focolaio della pandemia di Covid-19, scatenata – si dice  dalle pratiche alimentari, quanto mai disdicevoli, dei suoi abitanti.

Stessa stigmatizzazione, mutatis mutandis, toccò alla città Napoli alla comparsa della sifilide, sul finire del Quattrocento. Infatti, le cronache del tempo associarono l’esplosione epidemica all’occupazione della capitale del Regno aragonese, nel 1495, da parte delle truppe del re di Francia Carlo VIII

Nel corso del Cinquecento la malattia andò incontro ad un processo di depotenziamento con conseguente riduzione del tasso di mortalità – dopodiché divenne una malattia endemica con cui l’Europa ha convissuto per ben quattro secoli. Al suo primo apparire la malattia venne definita morbus gallicus o mal napolitain; appellativi che mettevano in cattiva luce gli appartenenti alle due nazioni; anche per questo motivo, per esorcizzare la paura suscitata dal male sconosciuto, la strategia di «di proiezione sull’altro», adottata da molti autori del tempo, fu di additare come responsabili dell’epidemia le prostitute, che a Napoli abbondavano, o gli ebrei, che anche a Napoli avevano trovato rifugio dopo l’espulsione dalla Spagna del 1492. Infine la teoria dell’origine americana della malattia, sostenuta ancora oggi, sembrò offrire un’ottima soluzione per esonerare gli europei da ogni responsabilità e riconfermare il topos letterario del «cattivo selvaggio» lussurioso.

Intorno alla metà del Cinquecento non mancarono medici famosi, come Gabriele Falloppio, Leonardo Fioravanti e Andrea Cesalpino, che oltre a fornire la cornice teorica all’eziopatogenesi della sifilide azzardarono diverse congetture sulla sua causa scatenante. Ancora una volta di Napoli si offre un ritratto impietoso. Secondo Falloppio e Cesalpino, durante il conflitto francesi e spagnoli avrebbero appreso l’uso di «armi biologiche» con l’avvelenamento delle riserve di acqua e di vino con i cadaveri dei soldati morti di sifilide. Una pratica già adottata, ad esempio, dall’esercito mongolo, nel 1346, che tolse l’assedio alla fortezza genovese di Caffa, in Crimea, non prima di aver di catapultato i cadaveri di appestati dietro le mura nemiche. Fioravanti, si spinge oltre, e si dice certo che il conflitto aveva addirittura causato una vera e propria involuzione antropologica, trasformando gli uomini di stanza nella babelica Napoli in selvaggi dediti all’antropofagia.

 

[online 27/04/20]

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