25. Il disincanto della ragione e l’assolutezza del ‘bonheur’. Studio sull’abate Galiani
La letteratura critica ha sempre insistito sui «due Galiani»: l’illuminista «serio», e il pigro, scetticheggiante
«buffone», causeur da salotto. Medesima sorte hanno perciò subito le opere: all’unanime riconoscimento della genialità degli scritti di carattere economico-politico ha sempre fatto riscontro il fastidio nei confronti dei tanti divertissements letterari e in special modo verso l’intensissima Correspondance con gli amici francesi. Questo libro mette in discussione questo schema, mostrando come tali censure siano, in fondo, il risultato più conseguente del fatto che il «poligrafo» abate napoletano, oltre a disdegnare le tentazioni «scolastiche» del suo tempo, tende, ancor più significativamente, a eludere le esigenze di «uniformità» di «monoliti» ermeneutici quali illuminismo-
anti-illuminismo. L’intera vicenda intellettuale dell’abate Galiani, in significativo bilico tra libertinismo e illuminismo, stringe invece uno dei nodi più interessanti all’interno della storia Culturale del XVIII secolo. Sicché lo stesso epistolario galianeo può essere riconsiderato, a tutti gli effetti, quale «documento pubblico», prodotto di quella stessa società e parte integrante della cultura del tempo. La varietà dei registri, ben lungi dal costituire un limite, segna semmai la problematività dell’età dei lumi:: l’età di Vico, di Voltaire, di Diderot, di Rousseau, e diGaliani,
appunto.