La formazione della filosofia vichiana e studi di storia della storiografia
L’originalità del pensiero vichiano è generalmente ricondotta alla scoperta della dimensione storica della conoscenza e alla centralità attribuita al sapere fantastico e ingegnoso nella formazione delle nazioni. Il principio di conversione fra vero e fatto, per il quale “criterio e regola del vero consistono nell’aver fatto quel vero”, consente infatti a Vico di individuare nella osservazione storica il più specifico campo di applicazione della filosofia, e nelle facoltà che precedono la razionalità dispiegata l’origine della evoluzione dell’umanità.
Se è alla Scienza nuova del 1744 che Vico ha affidato la forma ultima e più compiuta dei propri pensieri, questi ultimi si sono però sviluppati lungo il filo di un laborioso e complesso percorso che, iniziato fin dai tempi delle Orazioni inaugurali, ha trovato una sua prima e provvisoria sistemazione nel De antiquissima italorum sapientia (1710). È difatti in quest’ultima opera che, attraverso una serrata critica del metodo analitico cartesiano, Vico definisce chiaramente i principi fondamentali della sua riflessione, giungendo alla fondamentale e duplice conclusione che “scoprire cose nuove […] è frutto unicamente del lavoro d’ingegno”, e che l’ingegno intrattiene a sua volta una speciale parentela con la sensibilità e con la corporeità dell’individuo.
Nella prima parte del volume, la formazione della filosofia vichiana è seguita attraverso l’analisi di questi temi con particolare attenzione all’opera del 1710, al fine di evidenziarne la centralità nella definizione della più matura filosofia vichiana. La seconda parte ripercorre, invece, alcuni momenti della ricezione vichiana fra Ottocento e Novecento, mostrando come le polemiche sul Vico “positivista”, sulla sua possibile anticipazione dell’idealismo, sulla sua discendenza da una tradizione più prettamente scolastica o, addirittura, sulla sua appartenenza ad una supposta “linea culturale fascista”, si siano di frequente intrecciate con le vicende che hanno accompagnato il nostro Paese in alcuni dei momenti più tormentati della sua storia. I nomi di Carlo Cattaneo, di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile si incrociano così con quelli di autori meno noti, ma tutti ugualmente orientati a ritrovare nell’opera di Vico una giustificazione – talvolta speculativamente più accorta, spesso schiettamente e improvvidamente politica – al proprio pensiero.
INDICE:
Introduzione
Avvertenza
Parte I. La formazione della filosofia vichiana
Coscienza
(Mercurio, Plauto e Cartesio; I confini delle cose; “Uno scetticismo inorpellato di verità”; La natura integrale dell’uomo; Essenza ed esistenza)
Memoria
(Il demone di Socrate; Demoni e conati; Facoltà; Conato, conoscenza e libertà; La sua “tale e non altra riuscita di litterato)
Ingegno
(La “dissennata” natura dell’uomo; Il “fango della materia”; “Nova invenire unius ingenii virtus est”; Dalla metafisica alla metafisica; Il principio del sapere)
Parte II. Studi di storia della storiografia
Il principio di varietà e l’etica della relazione. Pagine di letteratura cattaneana su Vico
Percorsi vichiani nel Novecento italiano (1911-1950)
(Fra neoidealismo e neoscolastica. Una “pietra miliare” della tradizione italiana; Critiche di metodo. Ernesto Buonaiuti; Il “programma di assimilazione”; Un problema “che non è storico, ma logico”; Emilio Chiocchetti; Immanenza e trascendenza nella storia; Unità di vita e pensiero; Fra guerra e dopoguerra; Conclusioni: una filosofia “mediterranea”. Ancora su Buonaiuti)
Una polemica fascista su Vico e Spinoza
Letture vichiane di Barié
Bibliografia
Indice dei nomi